Cammino del tempo di Avvento
anno B
3ª domenica di Avvento
Riflessione a cura di fra
Francesco Scialpi
«Rallegratevi sempre nel Signore:
ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino» (Fil 4, 4.5).
Con queste parole dell’apostolo Paolo alla comunità dei filippesi si apre la liturgia della terza domenica di Avvento.
Motivo per cui questa domenica è chiamata Gaudete, la ragione della gioia è dato dal fatto che il Signore è vicino, tant’è che nell’orazione di colletta si dice:
«Guarda, o Padre, il tuo popolo che attende con fede il Natale del Signore, e fa' che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza».
Con queste parole dell’apostolo Paolo alla comunità dei filippesi si apre la liturgia della terza domenica di Avvento.
Motivo per cui questa domenica è chiamata Gaudete, la ragione della gioia è dato dal fatto che il Signore è vicino, tant’è che nell’orazione di colletta si dice:
«Guarda, o Padre, il tuo popolo che attende con fede il Natale del Signore, e fa' che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza».
Il terzo appello che ci viene dal
cammino di Avvento, dopo quello alla vigilanza, a preparare la via al Signore è
quello alla gioia. Nuovamente nel brano del vangelo di oggi domina la figura di
Giovanni il Battista, che alla domanda dei sacerdoti e leviti: «Chi sei?»
risponde: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via
del Signore, come disse il profeta Isaia» (Gv 1, 23). Come dice S. Agostino in
uno dei suoi discorsi: «Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: «In
principio era il Verbo» (Gv 1, 1).
Giovanni è la voce che passa,
Cristo è il Verbo eterno che era in principio. Se alla voce togli la parola,
che cosa resta? Dove non c'è senso intelligibile, ciò che rimane è
semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l'udito, ma
non edifica il cuore».
Solo se lasciamo che la Parola
raggiunge il nostro cuore allora la nostra gioia sarà piena.
Sapienza francescana a cura di
fra Dinh Anh Nhue Nguyen
Dai Sermoni di sant’Antonio di Padova (III Domenica di Avvento, 2)
“Godete [Rallegratevi]
sempre nel Signore” (Fil 4,4). Non possono fare ciò
coloro dei quali parla Isaia: “La testa è tutta malata e tutto il cuore langue;
dalla pianta dei piedi fino alla sommità del capo non c’è in lui parte sana, ma
ferite e lividi, e piaghe aperte
che non sono state né fasciate, né medicate, né curate con l’olio” (Is
1,5-6). Nella testa sono indicati i prelati, nel cuore i veri
religiosi, e nella pianta dei piedi i laici. (…)
“Ferite e
lividi, e piaghe aperte”. Nella ferita è indicata la lussuria; nei lividi
l’avarizia, dalla quale proviene anche l’invidia; e nelle piaghe aperte la
superbia. Dei primi due vizi si parla nella Genesi, dove Lamech si rivolge alle
sue mogli e dice loro: “Io ho ucciso un uomo per una mia ferita, e un ragazzo
per un mio livido” (Gen 4,23). Lamech, che per primo
introdusse sulla terra la sozzura della bigamia, raffigura il lussurioso e
l’avaro; egli uccise un uomo, cioè la ragione, per la ferita della lussuria, e
un ragazzo, cioè l’inizio della buona volontà, nel rancore dell’avarizia.
Non è solo
per l’avarizia e la brama del denaro, ma anche per la voglia di emergere in questo
mondo, che nascono rancori, discordie e calunnie. Il prestigio di una dignità
passeggera è come un osso gettato tra i cani, i quali si avventano su di esso
con rabbia e furore, mordendosi tra loro. La stessa cosa fanno coloro di cui
parla Isaia: “Cani avidissimi che non sanno mai saziarsi, sono i pastori
incapaci di comprendere” (Is 56,11). (…)
Ecco dunque: la ferita della
lussuria non è avvolta nelle fasce della continenza; il livore dell’avarizia
non è curato con la medicina dell’elemosina; la piaga aperta della superbia non
è medicata con l’olio dell’umiltà interiore, dalla quale procede la luce della
coscienza, che produce il gaudio nello Spirito Santo: e chi è privo di questa
luce non è in grado di godere nel Signore.
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