venerdì 28 novembre 2014

Sfida e primato del dialogo in politica

Sfida e primato del dialogo in politica per favorire una vita di incontro e complementarietà è il tema cui è dedicata la rubrica "Morale e società" del mensile "San Bonaventura informa". 

Un'analisi lucida e pertinente sull'attuale realtà in un periodo di crisi e di disaffezione alla politica ma con l'individuazione di una speranza insita proprio nel dialogo come forma di attenzione all'altro. 

"Non è possibile pensare alla vita di ognuno di noi se non insieme a quella di altri. Noi e gli altri: la vita è incontro con tutti gli altri possibili. Non può esserci incontro se non attraverso lo strumento del dialogo", scrive nell'articolo EUGENIO SCAGLIUSI, avvocato cassazionista, autore di La politica... una idea e Per una politica del dialogo (entrambi editi da Viverein nel 2007 e 2011). 



SFIDA E PRIMATO DEL DIALOGO IN POLITICA
PER FAVORIRE UNA VITA DI INCONTRO E COMPLEMENTARIETÀ


di Eugenio Scagliusi*


Chiamarsi fuori da ciò che comunemente chiamiamo politica è tentazione che prende tutti. Non è facile difendere l’alto valore della politica e, più generalmente, dell’impegno sociale.
La politica occupa tutta la nostra vita; è la nostra vita; è l’analisi dei nostri bisogni e l’organizzazione dei mezzi del soddisfarli; è l’organizzazione dei mezzi e degli strumenti per la crescita della comunità. Troppo spesso, però, arretriamo rispetto alle responsabilità dirette che la politica ci richiede e lasciamo che ad occuparsi di essa, ad occuparsi dunque di noi stessi, siano altri. Non sempre gli altri cui deleghiamo la funzione di rappresentanza politica hanno maturato le capacità – affatto semplici – che la funzione richiederebbe.

Forse mai come in questo momento parlare di politica è piuttosto complicato e particolarmente rischioso.
Se poi ci si interroghi se sia possibile una politica del dialogo, che sappia guardare oltre gli schieramenti
di parte allo scopo di raggiungere obiettivi comuni che siano il più largamente condivisi, ci si imbatte in una sfida titanica.
Anche quando i più temerari condividono il bisogno dell’assunzione diretta di responsabilità; quando scoprono senso ed importanza della partecipazione politica; quando scendono nell’agone dell’impegno rappresentativo istituzionale diretto; ebbene, immediatamente colgono le difficoltà di questa scelta.

Non sembra esserci soluzione. Tutti proviamo il disagio tra la consapevolezza della necessarietà dell’impegno politico e la tentazione di fuggirlo in quanto inutile o esclusivo regno di intrallazzi.
A ciò si aggiunge come quell’impegno ci si presenti, attraverso i comportamenti dei più comuni protagonisti, in termini di mera contrapposizione.
Eppure esisterebbe una soluzione metodologica. Una soluzione che parte dal riconoscere la centralità
dell’uomo, che si trova a dover assumere decisioni in ogni momento della sua vita, scegliendo le relative azioni.

Vita e azioni dell’uomo sono sempre connesse a quelle di altri. Non è possibile pensare alla vita di ognuno di noi se non insieme a quella di altri. Noi e gli altri: la vita è incontro con tutti gli altri possibili. Non può esserci incontro se non attraverso lo strumento del dialogo.
Ma al momento dell’incontro con l’altro, anche nel dialogo, generalmente prevale la consuetudine a cogliere le differenze in termini di esclusione e mai in termini di compatibilità e complementarietà.

La soluzione metodologica coincide con una sfida: spendersi affinché alla prevalente attuale concezione della politica, scomposta, aggressiva, sopraffatta da assordante rumore, generante un disagio che disorienta sempre più, possa opporsi, favorendola, una politica costruita attraverso il dialogo vero, riscoprendo valore ed importanza di esso e, soprattutto, silenzio ed ascolto quali suoi elementi imprescindibili.

Il tutto per tentare una missione che appare ai più tanto impossibile quanto disperata: quella di combattere i sentimenti di delusione, scetticismo e disaffezione dalla politica. Combattere quella che Gadamer ha chiamato patologia del disincanto a cui molti studiosi si riferiscono parlando della più generale sindrome del disorientamento.

La soluzione, la cura, la prospettiva nuova che si vuole proporre, come un possibile nuovo metodo
per fare politica, è il riconoscere e rivendicare il primato del dialogo. Per evolversi ed evolvere anche la politica esiste solo uno strumento: quello del dialogo, che consente di acquisire ed accogliere esperienze e tradizioni diverse, a volte comuni, che nascono e si sviluppano di continuo e nel quotidiano.
Soprattutto, la sfida è quella di lavorare, costruire, contribuire a dare nuovo vigore ad una nuova e diversa cultura educativa, che veda nel rispetto dell’altro e nel dialogo gli strumenti per una civile e produttiva convivenza.

È l’auspicio per una civiltà dialogica, il cui pilastro è l’apertura all’altro. A tutti gli altri possibili.
Attraverso questa scoperta si passa dalla presenza e dall’azione individuale al dialogo, dal dialogo alla convivenza universale, verso una società che possa diventare effettivamente globale e civile. È la scoperta del valore e della supremazia del dialogo, non solo quale strumento metodologico, bensì quale stile di vita, prassi, ethos: la vita stessa come dialogo.

La chiave di lettura è quella del riconoscere il primato della parola, anzi del logos. Ad ognuno compete
interpretare questo lògos come meglio ritiene: come principio di ragionevolezza del mondo classico;
come mero “principio del dialogo”, del capire l’altro; come Logos proposto dalla patristica, in grado
di racchiudere e ricondurre in sé ogni verità.
Soprattutto – ed in conclusione – ricordandoci sempre, con grande umiltà, che il primato del logos
richiede sempre una continua, mai doma, ricerca.

La salvezza del ruolo e della funzione della politica è possibile solo riconoscendo la centralità dell’uomo ed occuparsene lasciandosi guidare nelle infinite scelte come lògos dal Lògos.
Potrebbe apparire utopia, ma anche se fosse, a volte conviene credere anche ad esse ed alla possibilità di cambiamento. Del resto, la pòlis non è certo una utopia; tantomeno può esserlo, allora, il prodursi nel tentativo di migliorarla.




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