Sfida e primato del dialogo in politica per favorire
una vita di incontro e complementarietà è il tema cui è dedicata la rubrica "Morale e società" del mensile "San Bonaventura informa".
Un'analisi lucida e pertinente sull'attuale realtà in un periodo di crisi e di disaffezione alla politica ma con l'individuazione di una speranza insita proprio nel dialogo come forma di attenzione all'altro.
"Non è possibile pensare alla vita di ognuno di noi se non insieme a quella di altri. Noi e gli altri: la vita è incontro con tutti gli altri possibili. Non può esserci incontro se non attraverso lo strumento del dialogo", scrive nell'articolo EUGENIO SCAGLIUSI, avvocato cassazionista, autore di La politica... una idea e Per una politica del dialogo (entrambi editi da Viverein nel 2007 e 2011).
SFIDA E PRIMATO DEL DIALOGO IN POLITICA
PER FAVORIRE UNA VITA DI INCONTRO E COMPLEMENTARIETÀ
di Eugenio Scagliusi*
Chiamarsi fuori da ciò che comunemente chiamiamo
politica è tentazione che prende tutti. Non è facile difendere l’alto valore
della politica e, più generalmente, dell’impegno sociale.
La politica occupa tutta la nostra vita; è la
nostra vita; è l’analisi dei nostri bisogni e l’organizzazione dei mezzi del
soddisfarli; è l’organizzazione dei mezzi e degli strumenti per la crescita della
comunità. Troppo spesso, però, arretriamo rispetto alle responsabilità dirette
che la politica ci richiede e lasciamo che ad occuparsi di essa, ad occuparsi
dunque di noi stessi, siano altri. Non sempre gli altri cui deleghiamo la
funzione di rappresentanza politica hanno maturato le capacità – affatto
semplici – che la funzione richiederebbe.
Forse mai come in questo momento parlare di
politica è piuttosto complicato e particolarmente rischioso.
Se poi ci si interroghi se sia possibile una
politica del dialogo, che sappia guardare oltre gli schieramenti
di parte allo scopo di raggiungere obiettivi
comuni che siano il più largamente condivisi, ci si imbatte in una sfida
titanica.
Anche quando i più temerari condividono il
bisogno dell’assunzione diretta di responsabilità; quando scoprono senso ed
importanza della partecipazione politica; quando scendono nell’agone dell’impegno
rappresentativo istituzionale diretto; ebbene, immediatamente colgono le
difficoltà di questa scelta.
Non sembra esserci soluzione. Tutti proviamo il
disagio tra la consapevolezza della necessarietà dell’impegno politico e la
tentazione di fuggirlo in quanto inutile o esclusivo regno di intrallazzi.
A ciò si aggiunge come quell’impegno ci si
presenti, attraverso i comportamenti dei più comuni protagonisti, in termini di
mera contrapposizione.
Eppure esisterebbe una soluzione metodologica.
Una soluzione che parte dal riconoscere la centralità
dell’uomo, che si trova a dover assumere
decisioni in ogni momento della sua vita, scegliendo le relative azioni.
Vita e azioni dell’uomo sono sempre connesse a
quelle di altri. Non è possibile pensare alla vita di ognuno di noi se non
insieme a quella di altri. Noi e gli altri: la vita è incontro con tutti gli
altri possibili. Non può esserci incontro se non attraverso lo strumento del
dialogo.
Ma al momento dell’incontro con l’altro, anche
nel dialogo, generalmente prevale la consuetudine a cogliere le differenze in
termini di esclusione e mai in termini di compatibilità e complementarietà.
La soluzione metodologica coincide con una sfida:
spendersi affinché alla prevalente attuale concezione della politica,
scomposta, aggressiva, sopraffatta da assordante rumore, generante un disagio
che disorienta sempre più, possa opporsi, favorendola, una politica costruita
attraverso il dialogo vero, riscoprendo valore ed importanza di esso e,
soprattutto, silenzio ed ascolto quali suoi elementi imprescindibili.
Il tutto per tentare una missione che appare ai
più tanto impossibile quanto disperata: quella di combattere i sentimenti di
delusione, scetticismo e disaffezione dalla politica. Combattere quella che Gadamer
ha chiamato patologia del disincanto a cui molti studiosi si riferiscono
parlando della più generale sindrome del disorientamento.
La soluzione, la cura, la prospettiva nuova che
si vuole proporre, come un possibile nuovo metodo
per fare politica, è il riconoscere e rivendicare
il primato del dialogo. Per evolversi ed evolvere anche la politica esiste solo
uno strumento: quello del dialogo, che consente di acquisire ed accogliere
esperienze e tradizioni diverse, a volte comuni, che nascono e si sviluppano di
continuo e nel quotidiano.
Soprattutto, la sfida è quella di lavorare,
costruire, contribuire a dare nuovo vigore ad una nuova e diversa cultura
educativa, che veda nel rispetto dell’altro e nel dialogo gli strumenti per una
civile e produttiva convivenza.
È l’auspicio per una civiltà dialogica, il cui
pilastro è l’apertura all’altro. A tutti gli altri possibili.
Attraverso questa scoperta si passa dalla
presenza e dall’azione individuale al dialogo, dal dialogo alla convivenza
universale, verso una società che possa diventare effettivamente globale e
civile. È la scoperta del valore e della supremazia del dialogo, non solo quale
strumento metodologico, bensì quale stile di vita, prassi, ethos: la vita
stessa come dialogo.
La chiave di lettura è quella del riconoscere il
primato della parola, anzi del logos. Ad ognuno compete
interpretare questo lògos come meglio ritiene:
come principio di ragionevolezza del mondo classico;
come mero “principio del dialogo”, del capire
l’altro; come Logos proposto dalla patristica, in grado
di racchiudere e ricondurre in sé ogni verità.
Soprattutto – ed in conclusione – ricordandoci
sempre, con grande umiltà, che il primato del logos
richiede sempre una continua, mai doma, ricerca.
La salvezza del ruolo e della funzione della
politica è possibile solo riconoscendo la centralità dell’uomo ed occuparsene
lasciandosi guidare nelle infinite scelte come lògos dal Lògos.
Potrebbe apparire utopia, ma anche se fosse, a
volte conviene credere anche ad esse ed alla possibilità di cambiamento. Del
resto, la pòlis non è certo una utopia; tantomeno può esserlo, allora, il
prodursi nel tentativo di migliorarla.
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