martedì 30 settembre 2014

Alcune (necessarie) considerazioni sul Sinodo

di Giulio Cesareo*



In prossimità dell’imminente sinodo dei vescovi sulla famiglia, si è già cominciato a fare dei pronostici sui suoi risultati, a svelare le presunte intenzioni nascoste del Papa, a smascherare complotti o dissidi più o meno profondi nella Chiesa, ecc. 
Come sappiamo - al di là di tutto - questo sinodo si caratterizza per un cammino a due tappe, quest’anno e l’anno prossimo, affinché i padri sinodali abbiano il tempo di ascoltare la Chiesa e di ascoltarsi, prima di qualunque valutazione e pronunciamento che - come sempre - spetteranno di fatto al Santo Padre.

Tutto questo parlare mediatico, sebbene comprensibile e per certi versi giustificabile, vista la grande rilevanza per la vita di moltissimi credenti degli argomenti che saranno oggetto di riflessione durante il sinodo, rischia però di tralasciare alcuni aspetti fondamentali della realtà della Chiesa, esclusi i quali davvero tutta questa vicenda ecclesiale perde le sue coordinate di comprensione e interpretazione fondamentali.
Mi riferisco al fatto che la Chiesa non è un’azienda o uno Stato, né tanto meno il sinodo dei vescovi un parlamento chiamato a legiferare sulla vita dei membri della nazione.
La Chiesa è il corpo di Cristo, cioè l’ambito della vita eterna, come comunione indistruttibile - perché fondata sul sangue del Dio-uomo - tra Dio e l’uomo e tra gli uomini in Dio.
Se la Chiesa è dunque l’ambito della vita come comunione, come amore, essa non ha il potere di legiferare su se stessa, sulla sua vita in quanto comunione. Come io non ho il potere di dire: “respiro due ore al giorno” o “non dormo più”, senza causarmi danni irreversibili. Allo stesso modo la Chiesa non ha il potere di mutare la fede, di cambiare i criteri in base ai quali valutare il bene e il male morale perché significherebbe danneggiare la sua vita, che le è data da Cristo e che pertanto non puo organizzare o riformulare in maniera autonoma e indipendentemente dalla volontà divina. Ciò significa che è molto ingenuo ritenere che possa essere modificato il deposito della fede o perfino il valore teologico e il senso ecclesiale della prassi e delle indicazioni morali legate alla fede. Nemmeno il Concilio vaticano II, infatti, ha aggiornato la fede cristiana ai nostri tempi; ha piuttosto cercato - tornando ancora una volta al cuore della Chiesa e della sua teologia, che è la Scrittura e l’insegnamento patristico - di presentare la fede in modo che l’uomo di oggi possa accoglierla e possa trovarvi la salvezza in Cristo nostro Signore.
In maniera analoga oggi la questione non è aggiornare la dottrina, quasi che - per esempio - divorziare e contrarre seconde nozze sia una cosa indifferente ai fini della vita della Chiesa come comunione universale in Cristo.
"Sposalizio della Vergine" di Raffaello 
A me sembra di capire, piuttosto, che la posta in gioco sia quella di riflettere, guidati dallo Spirito, per cercare di comprendere come aiutare l’uomo e la donna di oggi - destinatari della salvezza di Cristo - ad accoglierla nella verità della propria esistenza, in condizioni di vita - dovute anche al contesto sociale così rapidamente mutato - che appaiono apertamente in contraddizione con la fede stessa nel Salvatore Gesù Cristo.
Alcuni mestieri dell’antichità, per esempio, non davano accesso al battesimo e alla vita ecclesiale (i fabbricanti di statue/idoli, i soldati, gli attori, ecc.), perché in quel contesto era chiaro che queste professioni erano assolutamente incompatibili con la fede. Oggi per questi mestieri non è più così, ma ciò non toglie che il battesimo sia lo stesso dei primi secoli e che le ragioni profonde che vi vietavano l’accesso nel passato siano tutt’ora valide. Tuttavia è vero che sono questi mestieri a essere cambiati, al punto che non sono considerati più incompatibili con la fede con il Cristo che dà la vita per la sua Sposa.
Compito del magistero, infatti, non è adattare la fede al mondo, quanto aiutare gli uomini ad accoglierla nelle loro vite, affinché le cambi e le trasformi dall’interno e li renda così presenza e sacramento (simbolo, nel senso forte di unione, ponte) della Chiesa nel mondo, cioè di quella vita eterna che è già iniziata - anche se non è ancora definitiva nelle sue realizzazioni- nella risurrezione di Cristo. Il mattino di pasqua, infatti, Egli ha inaugurato la comunione vera e definitiva degli uomini in Lui con il Padre suo nello Spirito santo, l’inizio del Regno, la vita umana con e alla maniera di Dio, cioè nell’amore.
Sotto questo punto di vista, allora, può essere proprio una buona idea pregare, in occasione del sinodo, per la docilità di tutta la Chiesa, pastori e fedeli, a ciò che lo Spirito sta già suscitando e vorrà suggerire perché abbia la vita e l’abbia in abbondanza (cf. Gv 10,10).



*OFMConv, docente di Teologia morale e direttore dell’Istituto “Mulieris dignitatem per studi sulla unidualità uomo-donna”


Articolo tratto da San Bonaventura informa (settembre 2014) 
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