Celebriamo
l’odierna Eucaristia come ringraziamento al Signore per il 50° anniversario
della solenne inaugurazione, avvenuta l’11 ottobre 1964, della nuova sede degli
studi della Pontificia Facoltà di San Bonaventura – “Seraphicum” e della residenza
dei giovani religiosi provenienti da ogni parte del mondo.
Ricordiamo
una ricorrenza significativa che impegna la comunità accademica non solo a fare
memoria delle scelte compiute dall’Ordine all’epoca, ma anche a rinnovare il
compito di continuare e di qualificare sempre meglio lo studio teologico in un
tempo segnato da profonde sfide e da nuove esigenze. Se cinquant’anni fa,
l’Ordine dei Frati Minori Conventuali decise di trasferire qui la Facoltà
Pontificia, eretta da San Pio X nel 1905, per formare le nuove generazioni di
frati francescani e gli altri religiosi nella linea e nello spirito del
Concilio, oggi è più che mai avvertita nella Chiesa la necessità di preparare
il personale ecclesiastico e laico per rispondere adeguatamente alle urgenti
istanze della nuova evangelizzazione.
Ci
guidano nella nostra meditazione i testi sacri proclamati in questa liturgia
della Parola.
La
prima lettura propone le pericopi iniziali della lettera agli Efesini che verrà proclamata
anche nei giorni successivi. Questo testo del Nuovo Testamento nasce
probabilmente come lettera circolare indirizzata alle diverse chiese della
provincia d’Asia dall’apostolo Paolo, nel periodo della sua prima prigionia a
Roma (61-63 d.C.), oppure da un suo discepolo. L’autore propone la propria
visione della storia, umana e cosmica: la storia è inequivocabilmente storia di
salvezza, grandioso progetto di amore del Padre, che nel Figlio Gesù Cristo redime
tutti gli uomini e riattira a sé irresistibilmente tutto il creato. In esso
opera ormai la forza invincibile della risurrezione, che, dopo aver sconfitto
il peccato e la morte, genera la nuova umanità, la Chiesa; quest’ultima,
imparando a riconciliare tutte le divisioni, va crescendo progressivamente come
unico, armonioso corpo di cui Cristo è il capo.
Dopo
il consueto saluto, nei passi iniziali della lettera l’autore prorompe in un
inno di lode benedicendo il Padre che ha ricolmato gli uomini della
sovrabbondanza dei suoi beni. L’inno contempla prima l’incredibile bontà di Dio
che dall’eternità ha sognato e desiderato di rendere le sue creature partecipi
della sua stessa vita divina (v. 4), poi la sua ineffabile misericordia che,
non arrendendosi di fronte al peccato dell’uomo, l’ha ristabilito nella
condizione di figlio grazie a Cristo redentore che ha ottenuto con il suo
sangue la remissione dei peccati (vv. 5-7). Ma la redenzione è mistero che si
dispiega lungo la storia. Dio è creatore e ama la molteplicità di forme del
creato, ma è anche in sé comunione d’amore e ama l’unità: in Cristo va attuando
questo suo volere restaurando in tutti gli uomini la somiglianza originaria con
lui e rendendoli membra di un unico corpo – membra con fisionomia diversa, ma
profondamente unite (v. 10). Scrive, a proposito di questo disegno divino, San
Giovanni Crisostomo: “Dio ha dato Gesù Cristo come capo a tutte le creature,
agli angeli e agli uomini. Così si forma l’unione perfetta, quando tutte le
cose sono sotto un capo e ricevono dall’alto un vincolo indissolubile”.
Il
brano del Vangelo di Luca ci presenta lo scontro duro tra Gesù e i dottori
della legge i quali impediscono di accedere alla sapienza di Dio. Gesù, con
profonda ironia, smaschera la falsità dei dottori della legge che non sono
migliori dei loro padri. Egli fa capire che la loro venerazione per i profeti è
ipocrita, perché essi si dimostrano non disponibili ad ascoltare gli appelli di
Dio esattamente come i loro padri in passato. Come i profeti erano stati
rifiutati e uccisi perché scomodi, così ora è rifiutato anche Gesù, Parola
definitiva del Padre: si tratta dello stesso comportamento. I ‘sapienti’,
costruendo i sepolcri ai profeti, si fanno quindi non loro seguaci, come
vorrebbero far credere – e forse essi stessi credono –bensì complici di coloro
che li hanno uccisi. Il Golgota confermerà questa analisi di Gesù che ha
prodotto costantemente le sue vittime “dal sangue di Abele fino al sangue di
Zaccaria” (la prima e ultima uccisione raccontata nella Bibbia ebraica).
E’
da notare come la colpa rievocata rimane totalmente nell’ambito dell’Antico
Testamento: da qui sembrerebbe che Luca voglia suggerire come la misericordia
del Padre non intenda chiedere conto del sangue del suo Figlio che sta per
essere versato; infatti, scrive Giovanni: “Dio
non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo
si salvi per mezzo di lui” (Gv
3,17). Tuttavia “del sangue di tutti i
profeti… sarà chiesto conto a questa generazione”, poiché “chi non crede è già stato condannato,
perché non ha creduto nell’unigenito Figlio di Dio” (Gv 3,18).
Con
la stessa forza Gesù si scaglia contro l’arroganza intellettuale e religiosa
dei dottori della legge, che pur avendo gli strumenti necessari non hanno
seguito e neppure riconosciuto la via che conduce a Dio, indicata dalla legge e
dai profeti, ma anzi l’hanno resa inaccessibile anche al popolo privando i
precetti e le norme del loro autentico significato.
Le
letture ci presentano così il contrasto tra la commossa contemplazione del
grandioso progetto di salvezza ‘ideato’ e messo pazientemente in atto dalla
benevolenza di Dio e le violente e drammatiche invettive di Gesù contro i
dottori della legge e i loro padri, che hanno sempre opposto fermo rifiuto ai
richiami divini. La Chiesa, ponendo queste due ‘ostinazioni’ a confronto, ci
lancia almeno un duplice appello.
Il piano della salvezza è meraviglioso e
va contemplato. Potremo averne
profondissima consolazione e gioia, che saranno la nostra forza negli inevitabili
momenti di difficoltà e nei tempi di crescita e maturazione. Questi, infatti,
facilmente mettono a dura prova la nostra perseveranza, ma sono necessari
perché il piano di Dio si attui in noi; ma vigiliamo anche, perché molti, a cui
prima di noi Dio l’ha affidato, anziché collaborare hanno opposto resistenza e
perso di vista la méta.
E
il secondo appello è il seguente: Non
siamo responsabili solo di noi stessi. Dio ha rivelato a noi cristiani il
mistero della sua volontà, cioè che tutti gli uomini siano salvi in Cristo,
perché noi ci facciamo trasparenza di questo mistero affinché tutti vi possano
entrare. Questo significa da una parte vigilare per non dare scandalo con i
nostri comportamenti e aver rispetto di chi è diverso, non pretendendo di imporre
la nostra fede o le nostre forme culturali, per diventare per gli altri luogo
di incontro con Cristo, e dall’altra significa non nasconderci, ma avere il
coraggio di mostrarci e agire chiaramente come cristiani per diventare veicoli
del suo amore.
La
nostra meditazione si snoda su questi due punti e ci attira nel cuore del
mistero della salvezza a contemplare, con l’apostolo Paolo, la bontà sconfinata
di Dio che chiama l’uomo a partecipare alla sua stessa vita, che redime
l’umanità dal peccato mediante il sacrificio di Dio e affida alla Chiesa il
compito di costruire nella storia il corpo armonioso di Cristo, ben compaginato
nell’unità delle sue membra.
Questo
mistero di luce Gesù voleva far entrare nel cuore e nella mente dei dottori
della legge, ma non vi riuscì a causa della falsità e dell’ipocrisia che
rendevano troppo angusta la loro visione di Dio e la impedivano anche agli
altri. E’ su questi aspetti che ci dobbiamo interrogare a livello personale,
come battezzati e figli di Dio, ma anche a livello istituzionale, come centro
di studi accademici che per natura sua è stato costituito per far conoscere e
indagare sempre più in profondità il mistero della salvezza.
Chiediamoci
se abbiamo sempre piena consapevolezza dello straordinario piano di salvezza
che si dispiega nella storia, al centro del quale non vi sono forze anonime ma
la figura di Cristo redentore. L’evento salvifico è il contenuto portante e lo
scopo fondamentale dello studio, dell’insegnamento e della ricerca che si
effettuano nelle Facoltà ecclesiastiche. Il mistero della salvezza, centrato
sull’evento singolare di Cristo, avvenuto “una volta per tutte” (Eb 7,27; 9,12) – e pertanto non
ripetibile (ephàpax) – ha valenza universale
e implicazioni cosmiche: esso pone, infatti, l’intero universo sotto la sua
influenza e gli imprime una dimensione nuova. In tal senso il Vaticano II
sottolinea questa prospettiva paolina, affermando che: “il genere umano passa
da una concezione piuttosto statica dell’ordine, a una concezione più dinamica
ed evolutiva” favorendo “il sorgere di un formidabile complesso di nuovi
problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove”[1].
Le
istituzioni accademiche della Chiesa, come recita il Proemio della Cost. Ap. Sapientia christiana, devono saper
influenzare i modi di pensare e penetrare la cultura in profondità, esercitando
su di essa il suo effetto benefico e durevole. Esse, infatti, dinanzi alle
insidie dell’individualismo, del pragmatismo e del razionalismo, hanno il
compito unire sempre l’ubbidienza della fede all’“audacia della ragione” (Fides et ratio, n. 48), lasciandosi
guidare dallo zelo della carità. E’ proprio la nuova evangelizzazione il
principio ispiratore dello studio che si svolge nelle nostre istituzioni. La Sapientia christiana punta molto
sull’universalismo intrinseco al Vangelo, sulla sua forza trascendente,
salvifica per ogni uomo, per ogni cultura, per l’intera società, sulla potenza
dell’annuncio, sulla scoperta della sua nativa novità. E l’attenzione alla
cultura non si limita all’area occidentale e non va fatta in senso astratto, ma
deve andare di pari passo con la necessità di conoscere il destinatario del
vangelo, l’ambiente in cui egli vive, i problemi relativi al suo ambito
culturale-sociale. Per partecipare efficacemente alla nuova evangelizzazione
occorre riservare alla divina Rivelazione il ruolo prioritario. Questo è punto
di riferimento essenziale per tutti gli atenei ecclesiastici; è criterio
valutativo del loro insegnamento e della loro ricerca e costituisce quasi
l’orizzonte che illumina la natura e le finalità di queste istituzioni.
Il
Vangelo di Luca, con la diatriba tra Gesù e i dottori della legge, è un
ammonimento anche per le nostre istituzioni affinché evitino il pericolo di oscurare
la verità, operando, invece, nella piena luce e nella linea della sapienza. Oggi,
in particolare, è più che mai necessario passare dalla pura trasmissione di
conoscenze neutre al gusto del sapere, ma soprattutto a scorgere nel profondo
gli elementi che ci fanno scoprire l’unità dei saperi, nel contesto
dell’areopago delle culture e nel mercato delle competenze. E’ ancora la Sapientia christiana a sottolineare
questa prospettiva; al principio vitale e intellettuale dell’unità del sapere,
nella distinzione delle sue molteplici e correlate espressioni, le nostre
Facoltà devono puntare, non per raccordare tra di loro in senso estrinseco le varie
scienze, ma dall’interno e rafforzare l’antidoto all’attuale frammentazione. La
luce sprigionata dall’evento della Rivelazione è la sorgente trascendente e
insieme storica e metastorica che ci consente di raccordare armonicamente e
dinamicamente nel nostro sistema di studi l’unità dei saperi e produrre una
sapienza vitale.
E’
proprio questo il contributo che le Facoltà ecclesiastiche sono chiamate ad
offrire alla Chiesa per promuovere la nuova evangelizzazione: aiutare a
penetrare nella Rivelazione per poter annunciare la buona novella a tutte le
culture. Il ruolo insostituibile dell’istituzione universitaria è quello dell’Alma Mater, madre che nutre e fa
crescere, che alimenta gli studenti creando un ambiente accademico raccolto e
insieme aperto, conviviale e universale, dove le molteplici e differenziate
relazioni che vi si sperimentano abbiano il timbro dell’impegno e
dell’applicazione, dell’amore e della libertà, della creatività e della gioia
di crescere. Il valore aggiunto degli studi ecclesiastici, rispetto a quelli
accademici in ambito civile, è il principio epistemico unico, e cioè
l’intelligenza della Rivelazione che è Cristo stesso – “mediator simul et plenitudo totius revelationis” (Dei Verbum, 2); è tale principio che
collega strettamente il sistema degli studi alla missione evangelizzatrice
della Chiesa.
Chiediamo
al Signore, in questa celebrazione eucaristica, che ognuno e tutti insieme nel
quotidiano lavoro accademico di insegnamento, di studio e di ricerca, possiamo
crescere sempre di più nella sapienza per acquisire quello sguardo di verità e
libertà su Dio, sull’uomo e sul mondo, che è “uno” e allo stesso tempo
“molteplice” nelle sue espressioni, come molteplici sono le espressioni della
vita della persona, della comunità umana e del cosmo.
Chiediamo
che, per intercessione di Maria Sede della Sapienza ed imitandola come la
Vergine e Madre che ha accolto il Verbo della vita, possiamo dire il nostro
“sì” alla Parola, che si rivela anche attraverso lo studio e la ricerca, e facciamo
sempre risuonare nel mondo la Buona Notizia di Gesù, Via, Verità e Vita.
+ Angelo Vincenzo Zani
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